AMICIZIA, VALORE VITALE
Valore vitale e insostituibile, con le sue luci e le sue ombre, vero motore delle relazioni umane e del progresso. “Tra amici che conversano e spendono il tempo insieme, e le cui anime sopportano un ugual giogo di affetti, è inevitabile che esista una parallela armonia di lineamenti, di maniere e di ingegno ”William Shakespeare, il Mercante di Venezia. Venezia, alla fine del Cinquecento, si presenta come una città cosmopolita. I traffici fitti e variopinti delle mercanzie, le abbondanze degli scambi, le avventure degli affari popolano la città di suoni e colori esotici e mettono in circolazione, insieme con la valuta, i valori della democrazia e della tolleranza, almeno rispetto ai costumi sociali dell’epoca. “Se agli stranieri venissero negati/ i benefici goduti qui a Venezia/ lo Stato ne verrebbe gravemente screditato/ dacché il commercio e i profitti della città/ provengono da tutte le razze”, sostiene Antonio, il mercante di Venezia nell’omonima commedia shakespeariana. Mori ed ebrei appartengono a etnie diverse, che viaggiano lungo i canali della città e la storia sofferta della loro diversità attraversa a più riprese la produzione del drammaturgo elisabettiano. I commerci, infatti, tracciano non solo le geografie del denaro, ma la rete delle possibili trame all’interno delle quali alla città/Stato spetta l’amministrazione di una giustizia al di sopra delle parti. Un ruolo determinante che Venezia assolve con nobile imparzialità, giudicando a favore di Otello, il Moro, accusato dal padre della sua sposa Desdemona di avergli sedotto la figlia; oppure a favore di Shylock, l’ebreo che esige la soddisfazione dei propri crediti nei confronti del cristiano Antonio. Oltre alla relazione con lo Stato e con la ragione delle sue leggi, in queste opere vivono di vita esemplare molte altre relazioni: quella amorosa, per esempio, ma anche quella di amicizia con i propri compagni e sodali, ma soprattutto con “l’amico”: supposto nell’Otello, amico reale e vittima sacrificale Antonio nel Mercante di Venezia.
Il valore dell’amicizia, gli obblighi della lealtà costituiscono uno dei perni intorno al quale ruota questa commedia, dove i contratti ideali vengono onorati da persone di nobili sentimenti e si rivelano più forti e solidi di quelli commerciali. La storia è nota: Bassanio ha dissipato tutti i suoi beni e ora che è in procinto di conquistare la bella e ricca Porzia per farla sua sposa, chiede ad Antonio, facoltoso mercante, di finanziargli l’impresa. Molti altri contendenti si litigano il favore della fanciulla, ma il padre, alla sua morte, ha disposto che solo chi accede fra tre scrigni quello giusto potrà accedere al letto nuziale. Antonio acconsente di buon grado alle richieste economiche dell’amico, ma tutte le sue ricchezze sono in mare e quindi propone a Bassanio di cercare credito a usura spendendo la solvibilità delle proprie mercanzie. L’usura, all’epoca, era una delle poche attività che erano consentite agli ebrei perché proibite ai cristiani, così che a erogare il prestito è Shylock, mercante ebreo. Antonio e Shylock, hanno una diversa esperienza sociale del denaro. L’uno investe e mette in circolazione la merce quanto gli affetti, l’altro conserva e preserva i beni quanto l’unica figlia – si disprezzano reciprocamente e Antonio ha umiliato più volte Shylock in pubblico. Questi stila un contratto con il quale, qualora Antonio non sia in grado di estinguere il prestito nei tempi dovuti, potrà esigere da lui una libbra di carne cavata dal suo corpo. Il compenso pattuito esula dall’economia degli scambi e sembra quindi del tutto simbolico, ma il contratto enuncia intanto che la moneta dell’amicizia è coniata nella carne viva e che, al contrario del denaro, i suoi commerci hanno carattere intransitivo e irreversibile. È a partire dal corpo che si gode e si soffre l’amicizia e il corpo si presta più volte a sottolineare metaforicamente la natura “organica” di un legame che si stabilisce al di fuori di ogni biologia: “Una volta, per il suo bene, prestai il mio corpo…”, rammenta Antonio dichiarandosi disponibile a prestare anche l’anima per favorire Bassanio. “La carta è come il corpo del mio amico/ E in essa ogni parola è una ferita aperta/ Che versa sangue di vita…” piange Bassanio quando una lettera lo mette al corrente del pericolo in cui versa Antonio. Infatti le navi di Antonio si sono disperse in mare insieme con le sue ricchezze e Shylock rivendica la legittimità di un patto che in realtà esige morte. Bassanio, che nel frattempo ha superato la prova degli scrigni e ha conquistato Porzia, lascia la sua promessa sposa e accorre i soccorso di Antonio.
Ma a nulla valgono le sue profferte di denaro, che la generosità di Porzia gli consente di moltiplicare più e più volte: Antonio ha prestato la sua carne e con quella deve pagare. Sarà Porzia, mascherata da giudice, a salvare Antonio, Bassanio e l’onore di Venezia: Shylock potrà prendersi il dovuto, ma se in questo verserà una solaroccia di sangue, elemento di cui nel contratto non si fa cenno, pagherà a sua volta con la vita l’offesa a un cittadino veneziano. Il film recente di Michel Radford, interpretato da Jeremy Irons e Al Pacino, rispettivamente nelle parti di Antonio e Shylock, spiega in termini amorosi le ragioni di un’abnegazione davvero straordinaria: gli sguardi che i diversi personaggi – maschili e femminili – si scambiano fra loro. Raccontano che Antonio è innamorato dell’amico e innamorato senza speranza per giunta, visto che questi a sua volta ama Porzia e utilizza le ricchezze che gli sono state offerte a caro prezzo per competere degnamente con gli altri pretendenti della bella dama. Questa, a sua volta, salva da morte certa un rivale che ha già sconfitto in amore. Il testo, peraltro, consente anche questa interpretazione, in particolare quando, nel secondo atto, uno dei personaggi secondari, per chiarire la dedizione del protagonista nei confronti di Bassanio. Afferma: “Credo che ami il mondo solamente per lui…”. Se ciò che muove Antonio è passione amorosa, si tratta però di un amore che per amare sa farsi amicizia ed essere felice della felicità altrui fino a “spossessarsi” completamente: rinunciando tanto al suo ruolo nel destino dell’altro quanto ai beni e al corpo proprio. Il mercante di Venezia invalida la categoria stessa della proprietà e delegittima nel “mio” e nel “tuo” anche i pronomi che declinano il soggetto al singolare. Cancellando confini ed “espropriando” territori, libera però l’amore da ogni finalità di possesso e guadagna quella particolare comprensione del mondo, di cui l’altro si fa tramite. Rispetto ai tanti modi in cui l’“io” diventa “noi”, l’amicizia vive una modalità di rapporto più disancorata dalle istante biologiche o dal patto sociale: non a caso la libbra di carne che ne fissava il prezzo non comprendeva il sangue, e in effetti l’amicizia non ha vincolo di sangue – o di consanguineità -, non conosce contratti civili, non condivide necessariamente credi e ideologie, non deve soddisfare il desiderio amoroso, ma nasce e prospera in un sentire che si fa comune nel tempo speso insieme.
“Amare il mondo solamente per l’amico” significa anche che attraverso l’amico si aumenta la propria esperienza del mondo e la propria capacità di avvertire la realtà. La relazione non moltiplica soltanto il soggetto, ma anche i sensi di cui questo dispone e gli oggetti di cui gode: in compagnia degli amici, allora, il cibo è più cibo, il paesaggio è più paesaggio, il sapere è più sapere, il piacere è più piacere. E il vino è più vino, secondo un film uscito di recente in Italia, Sideways. In viaggio con Jack, di Alexander Payne, storia di un’amicizia fra un arrogante ed estroverso attore di soap in declino – Jack (Thomas Haden Chirch) - e un timido degustatore di vini – Miles (Paul Giamatti) – che ha fallito un matrimonio e sta fallendo un’improbabile carriera di scrittore. Alla vigilia del matrimonio di Jack, Miles decide di regalargli un viaggio per vigne e vigneti, che si trasforma in un addio al celibato vissuto on the road fra avventure erotiche ed enologiche. Anche in questo caso il rapporto fra i due personaggi conosce punte di dedizione e fedeltà assoluta, ma declinata piuttosto che nel sublime – come nella commedia shakespeariana – nelle forme della complicità e dello spalleggiamento. Solo al termine del viaggio e della storia, quando uno si arrende al matrimonio e l’altro al proprio fallimento artistico, matura un’’autentica realtà di sentimenti fra forti che si sono dimostrati deboli e deboli che sono riusciti a dare prova di forza. La connivenza si è tramutata in scambio, la peregrinazione balorda ha prodotto conoscenza, e non solo delle qualità del vino. I due personaggi profondamente differenti nella costituzione fisica, nel carattere e nell’atteggiamento, nei gusti e nel sistema dei valori, raccontano insieme che praticare l’amicizia significa esercitare la tolleranza, ascoltare le differenze e accordare le dissonanze negli affetti. Significa, in altre parole, fare esperienza della diversità, cercandosi liberamente in altri modi di essere per accettare meglio quello che si è. Viene in mente una scena del secondo atto del John Gabriel Borkmann di Ibsen, quando il protagonista interloquisce con l’amico Foldal, che gli è rimasto fedele in tutte le sciagure che lui stesso ha provocato. “Finché tu credevi in me, io ho creduto in te. (Foldal) / Ci siamo dunque ingannati a vicenda. E tanto l’uno quanto l’altro abbiamo ingannati noi stessi (Borkmann) / Ma in fin dei conti, Gian Gabriele, non sta in questo l’amicizia? (Foldal)”. Senza nutrirsi nello stesso sangue, l’amicizia nasce e muore nelle pieghe del corpo, nell’anima dei sensi, prima di stabilirsi nella mente e di farsi memoria, conoscenza e somiglianza dell’altro, in una parallela armonia di lineamenti, di maniere e di ingegno.
Di Antonella Ottai