Agrigento, le porte della storia
Akragas era una delle grandi città della Magna Grecia dotata di porto in località San Leone. Il tiranno Phalaris (570-554 a.C.) cominciò l’espansione economica e territoriale, mentre Terone (488-471 a.C.) portò la città a una posizione di grande potere.
L’originario nucleo della città, fondata nel 582 a.C. da una colonia d’abitanti di Gela originari di Rodi e Creta, è caratterizzato dalla prossimità ai fiumi Akragas (oggi San Biagio) e Hypsas (oggi Drago) oltre che dalla presenza di due promontori: Girgenti e la rupe Atenea che dominano il territorio e scendono verso il mare, su cui a 351 m di altezza stava l’Acropoli.
Il luogo era già stato frequentato dall’uomo fin dalla preistoria come dimostrano gli utensili trovati sulla costa (qui a Trapani) risalenti oltre un milione d’anni fa, cioè al periodo del basso paleolitico abitato da Homo Erectus e Homo Sapiens.
Dobbiamo ricordare che teorie geologiche sostengono che la Sicilia fosse collegata all’Africa quindi la presenza dell’uomo potrebbe facilmente essere precedente all’isolamento della Sicilia e legata alla coeva presenza dell’uomo nel continente africano. Il rapporto con la sponda africana caratterizzata con alterne vicende la storia della città.
La battaglia di Imera (480 a.C.), vinta da Terone alleato di Gelone contro i Cartaginesi che volevano assicurarsi il controllo dell’isola e dei mercati marittimi, segna una svolta nella storia della città sempre intrecciata alla rivalità con Siracusa e Cartagine.
L’evento segna la storia della Sicilia e la realizzazione dei maggiori monumenti in stile dorico canonico: mentre Selinunte subisce le conseguenze della sua alleanza con i Cartaginesi sono costruiti (a spese dei Cartaginesi e per mano dei prigionieri) il Tempio di Atena a Siracusa, il Tempio di Imera e inizia la costruzione del colossale Tempio di Giove Olimpico ma venne sconfitta nel 264 alla fine della Prima guerra punica in cui si schierò coi Cartaginesi.
I Romani la conquistarono nel 261 a.C. dopo un assedio di sei mesi catturando 25.000 abitanti, ma nel 255 i Cartaginesi la espugnarono demolendone le mura. L’andirivieni di armate continuò nel 210 quando, alleata di Cartagine nella Seconda guerra punica, venne occupata dal generale Levinus.
Con i Romani acquista il nome di Agrigentum ed è città commerciale e agricola importante per le risorse finanziarie di cui dispone, particolare prosperità ha sotto Augusto mentre con i Bizantini arriva il declino.
Oltre a quanto già citato, restano a testimoniare l’importanza di Agrigento il Tempio di Giunone (450 a.C.), il Tempio della Concordia (440-430 a.C., forse il meglio conservato insieme a quello di Teseo di Atene che però è in marmo), davanti alla tomba di Terone il Tempio di Asclepio (282 a.C.), il Tempio di Ercole (con la statua bronzea del dio).
Ma anche il Tempio dei Dioscuri o di Castore e Polluce (450 a.C.), il tempio di Vulcano (fine del V secolo a.C., all’estremo ovest di Girgenti) e il Tempio di Demetra (470 a.C.) sovrapposto a sacrari di una divinità indigena precedente e poi inglobato nella chiesa di San Biagio.
Poco resta della cinta muraria che proteggeva una superficie di circa 450 ettari ma Polibio, storico greco, racconta che era maestosa con le sue otto porte. Il controllo della forma urbana inizia a Agrigento a partire dal VI secolo a.C., con la formazione di isolati regolai ad angolo retto.
Tra i siti storici siciliani Agrigento è forse quello in cui è più evidente il contrasto tra monumenti e un tessuto urbano caratterizzato da un’estesa di Agrigento (un ambizioso progetto, mai completato, di cui abbiamo notizia dagli scritti di Diodoro Siculo di Agira, I secolo a.C.), il cui altare aveva una dimensione di 54,5 x 17,5 m.
Sebbene nessuna colonna sia rimasta in piedi le rovine stesse testimoniano la maestosità. Un elemento caratterizzante erano i Telamoni, figure romane alte 7,70 m che avevano funzione statica e di ornamento architettonico, gli ultimi tre crollarono nel 1401 e uno, ricomposto nell’Ottocento, si trova nel Museo Archeologico.
La figura del Telamone caratterizza lo stemma di Agrigento con la scritta “Signet Agrigento mirabilis aula Gigantium”. Proprio in questo periodo Empedocle (490 – 480 a.C.), filosofo e scienziato agrigentino, criticò i suoi concittadini per la costruzione di palazzi lussuosi e templi come se dovessero durare per l’eternità.
Nel 408 la città è distrutta dal generale cartaginese Himilco. Ricostruita, crebbe nuovamente fino a competere con il tiranno di Siracusa Agatocle (317-289 a.C.), presenza di edilizia speculativa che ne fa una periferia, un paradosso per una città in cui è stata esemplare l’antica opera di pianificazione.
Ad Agrigento i templi sono disseminati in una porzione di territorio di cui la natura ha ripreso possesso cancellando la gran parte dei segni dell’antica urbanità.
I semi della cultura architettonica della Magna Grecia non hanno attecchito ed è mancata verso di loro la riconoscenza, le tracce pianificate sono diventate simulacri, da relegare nella memoria del superato, del trascorso, del passato.
L’antico è oggi soffocato da un’edilizia priva di qualsivoglia qualità, che evidenzia l’assenza di progetto o l’incosistenza del governo della crescita e della configurazione fisica del territorio.
C’è poi l’assedio dell’abusivismo che arriva a lambire il parco archeologico, una pratica che del’autocostruzione costituisce la degenerazione, alimentata dai tanti, troppi condoni edilizi concessi in soccorso del bilancio dello Stato, creando un deficit ambientale, architettonico e culturale ben più vasta.
In prossimità degli insediamenti antichi il contrasto stride ancor di più perché sotto l’apparente disordine delle pietre liberate dalla regola della costruzione, si rivela, a un occhio allenato alla vista non superficiale, la coerenza di impianti urbani precisamente dimensionati.
Poco più in basso c’è la casa di Pirandello e, più sotto, la costa con Porto Empedocle (l’antica “Molo di Girgenti”) e la spiaggia del caos. Chi va ad Agrigento incontra terra, acqua, pietra, il calore del sole, ma specialmente pagine di storia antica e recente.
Senza presunzioni di raccontare “La Storia” è bello raccontare “una storia”, minore e minuscola, singolare e personale, provocando nel lettore la voglia di visitare un luogo (per poter poi fare la sua propria storia) o di ri-visitarlo grazie alla conoscenza di nuovi punti di vista.
Ogni fotografia, per esempio, evoca in chi ha visto un luogo il ricordo, ma costringe a misurarsi con l’universo che crea, racchiude e mostra aprendosi all’osservatore.
Per raccontare i templi e Agrigento è forse meglio parlare d’altro, sorvolare sui dettagli, chiudere gli occhi, esplorare la memoria e ri-cor-dare, vale a dire ridare indietro al cuore l’esperienza di quei luoghi. Socchiudere gli occhi impedisce di attardarsi sui dettagli e aiuta a tra-guardare la natura autentica delle cose.
Ci avete mai provato? Ciò che resta è pura essenza, massa, forma, descritta nelle sue linee essenziali. Se provate a farlo a Agrigento intuirete la maestosità di Akragas.
Cosa resta di un insediamento e di un’architettura dopo che il tempo ha cancellato il superfluo? Morfologia depurata di ogni incrostazione, forme del terreno e dei materiali e in particolare le emergenze, il luoghi sacri, le opere di difesa, le infrastrutture.
Spesso visitando i siti storici della Magna Grecia ci si trova sotto un sole abbagliante che costringe a socchiudere gli occhi e,per quanto sembri il contrario, aiuta ad andare oltre lo sguardo fino a farci vedere.
Il negativo ha tutte le qualità di questo esercizio, è ribaltamento di valori cromatici ed eloquente verifica formale, spoliazione del superfluo che è sempre molto di più di quel che crediamo. Da questo punto di vista il negativo acquista una valenza positiva.
I templi, che il tempo ha spogliato dei loro originari colori, accolgono l’ombra fin nelle pieghe più recondite delle loro scanalature, la luce si attarda sulla superficie ruvida, materica, e c’introduce nell’universo in bianco e nero, scaldato dal colore bruno della terra solidificata.
I templi sono ormai masse di massi, un insieme composto, scomposto, ricomposto… eppure in grado di provocare emozioni, ingrediente basilare della vita di ogni essere.
Giovanni Leone