Elogio dell'astringenza
È vero, l'astringenza è sempre vissuta come un'allerta verso qualcosa che potrebbe anche fare male. È propria dei frutti immaturi ed è forse per questo che la percezione di quella strana rugosità che si manifesta a livello del cavo orale è fastidiosa.
In quasi tutti i prodotti non ha ragion d'essere: nel caffè è sicuramente sintomo di una cattiva qualità dei chicchi, di un'erronea tostatura e/o di una estrazione sbagliata, e nelle acqueviti manifesta errori di processo. Gli esempi potrebbero continuare, ma siamo certi che lo stesso valga per il vino?
La ricerca della rotondità a ogni costo, riducendo anche l'acidità che all'astringenza dà enfasi, ha portato a vini molli e grassocci.
Bevuti fuori pasto alcuni possono ancora fare bella figura, ma se ce li immaginiamo insieme a una bella fiorentina? O a un brasato o a selvaggina e a qualsiasi altra pietanza in cui abbondano le proteine e magari anche i grassi?
Ecco perché ogni tanto dubitiamo che i vini vincitori in un concorso, perché assaggiati senza accompagnamento, possano ottenere lo stesso successo su una tavola imbandita.
Certo, ai concorsi non si può fare assaggiare i rossi servendoli con un boccone di fiorentina (anche se sarebbe bello), ma allora entra in ballo la capacità del giudice di distinguere la tipologia di tannini che percepisce collocandoli nel quadro sensoriale complessivo manifestato dal vino.
Ed ecco sorgere un altro dubbio: i giudici che vengono attualmente impiegati, sono in grado di farlo? Perché se i concorsi servono per indicare al largo pubblico modelli di qualità, continuando a premiare vini tondi e grassi non facciamo certamente il bene della nostra enologia.
E poi, anche se siamo in pochi ad apprezzare l'astringenza nel vino, perché la moda dovrebbe privarci di una sana Cagnina che gioca sul contrasto dolce/astringente o di un bel Nebbiolo che sferza il palato con astringenza e acidità?
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