Nell’economia della felicità ci sta l’analisi sensoriale
Lino Stoppani, nel suo ultimo editoriale su Mixer, cita il professor Leonardo Becchetti che sta sviluppando una nuova branca dell'economia, quella della felicità.
In parole povere nel bilancio di un'impresa dovrebbe comparire, insieme agli indicatori classici, il livello di sana soddisfazione che un imprenditore trae dal proprio lavoro.
Nel leggerlo ci è venuto in mente che sostanzialmente l'Italia si basa ancora sull' economia della felicità, altrimenti le imprese cessate sarebbero ben di più di quante sono cadute sotto la mannaia della burocrazia, delle tasse e delle malversazioni in genere.
E' che noi italiani, tutto sommato, traiamo ancora non poca soddisfazione da quello che facciamo. Per molti il proprio lavoro resta la materializzazione della propria creatività. Dunque, da questo punto di vista, viviamo ancora in un economia sana che nasce dal piacere di dare piacere.
Un elemento che si riscontra soprattutto nel settore dei cibi e delle bevande dove sono stati messi a punto metodi per valutare in modo oggettivo il livello edonico che produce un determinato prodotto e nell' individuazione delle caratteristiche che lo generano.
Negli ultimi anni i metodi sono stati adattati ad altri beni e servizi e oggi si può parlare di analisi sensoriale dei bar, dei ristoranti, dei punti vendita della distribuzione moderna, dell'ambiente e persino degli aerei.
Potremmo quindi dire che l'analisi sensoriale da un canto può essere un indicatore nell' ambito dell'economia della felicità, dall' altro un'assicurazione contro i rischi di insuccesso per gli imprenditori che la perseguono.
Cominciamo quindi a ragionare in questa ottica, certi che la soddisfazione che ricaviamo dal nostro lavoro è di straordinaria utilità per vivere bene. E finora, almeno direttamente, non è neppure tassabile.
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