Tra mare e montagne
Le Cinque Terre sono la Liguria all’estremo. In una regione che ha trovato a fatica lo spazio per costruire la propria storia, tra le montagne e un mare che cominciava troppo presto, questi cinque paesini in fila sono il caso limite. Le case qui si dispongono secondo una geografia escheriana, fatta di dislivelli impossibili e piani che si annodano l’uno nell’altro, sentierini e carruggi a quattro dimensioni; ogni metro quadrato è stato conquistato a fatica, e il risultato sono costruzioni di grande fascino, irregolari e fitte. Solo nelle Cinque Terre la verticalità ligure raggiunge questo grado. Borghi spalmati su rocche a pendio sul mare, circondati nell’entroterra da terrazzamenti scoscesi. Qui più che in qualunque altra parte della Liguria, solo i tipici muretti a secco hanno permesso a viti e olivi di occupare i declivi più ripidi. Le terrazze (in ligure cian), messe in fila una dopo l’altra, formerebbero un muro lungo 11mila metri.
Oggi le Cinque Terre sono affascinanti da esplorare casa per casa; offrono una vista da sogno a chi ozia su un terrazzino all’ora del tramonto; ma sono anche la base di escursioni che, tipicamente, portano a camminare sempre e comunque verso l’alto. I collegamenti che impongono percorsi erti alimentano il fascino di questi paesini, e hanno tenuto a bada gli eccessi peggiori del turismo di consumo. Già per i viaggiatori stranieri del Settecento e dell’Ottocento, questa estremità orientale della Liguria avrebbe dovuto esercitare un richiamo forte: così quintessenzialmente italiana, sole-mare-agrumi e vita semplice. In realtà, pur trovandosi nel Nord relativamente ricco, le Cinque Terre erano troppo the real thing, scomode, remote e poverelle nonostante un lungo passato (già in epoca romana la zona fioriva ed esportava vini famosi, e nel Medioevo si consolidarono gli insediamenti agricoli costieri). Erano rari i visitatori di questi borghi nascosti, tagliati fuori dalle grandi vie di comunicazione. La trasformazione venne con la ferrovia, che poco dopo l’unificazione d’Italia collegò Genova e La Spezia, e solo molto più tardi – negli anni Sessanta del Novecento – fu attivato il servizi locale, con i primi turisti di massa. La popolarità delle Cinque Terre, insomma, è relativamente recente.
La ferrovia segna tuttora l’aspetto e il destino della zona: stazioni, gallerie e binari sono un elemento importante del paesaggio e l’efficienza del treno – mezzo ideale per visitare i paesini – ha contribuito a sventare progetti di grandi strade di collegamento, tenendo lontano le auto. Quando anche la densità dei visitatori a piedi risulta indigesta, un piccolo sforzo permette di meritarsi più intimità: basta riservare la visita ai villaggi alle ore di minor affollamento, e percorrere strade poco battute. Rispetto al Sentiero 2 – l’ex “Sentiero azzurro” – che collega i paesini per la via più semplice, meglio l’Alta via del crinale, entusiasmante per la vista del mare e per la varietà dei paesaggi e degli ambienti. Ciascuno dei borghi vi si riallaccia con percorsi ripidi, ma non difficili: il modo migliore di entrare davvero nella dimensione verticale che è la vera anima delle Cinque Terre. Senz’altro va percorso almeno qualcuno dei tratti meno noti: un sentiero che porta alle belle frazioni minori, come San Bernardino o Volastra, o la Via della Beccara, l’antico sentiero dei vignaioli tra Riomaggiore e Manarola; e ancora, sempre a Riomaggiore, l’imponente scalinata in granito che punta dritta verso il mare, portando alle casette rade di Monesteroli. Riomaggiore, l’ultimo borgo a sud, e Monterosso, al capo opposto, sono i più accessibili: ancora bellissimi, rappresentano però il lato più commercializzato delle Cinque Terre, quello che paga il prezzo più alto al successo di pubblico.
Da Riomaggiore parte il tratto più famoso della via bassa, la Passeggiata dell’amore, che porta a Manarola. Oggi è il sentiero romantico per eccellenza, ma ha origini piuttosto prosaiche: deriva dal viottolo che portava a una polveriera, dov’erano conservati gli esplosivi usati negli anni Venti per l’ampliamento della rete ferroviaria. Menarola incanta con stradine sottili e percorsi obbligati; scale ripide salgono dalla piccola marina su fino agli orti. Le Cinque Terre, con le frazioni minori, formano una successione di visuali: dalle finestre della case e dai belvederi di un paesino si spia quello seguente. È un rimando indiretto a un’altra sequenza visiva, che un tempo qui era materia di vita o di morte: la fila delle torri costiere che proteggeva i litorali italiani, primitivo sistema di telecomunicazioni che con segnali luminosi trasmetteva da un punto all’altro la notizia di un attacco di pirati saraceni, scatenando la fuga dei locali verso l’entroterra. Manarola si ammira meglio da Corniglia – da un belvedere, o dagli innumerevoli terrazzini privati. Vista da qui, di taglio, Manarola rivela tutto il suo carattere, quello comune a ciascuna delle Cinque Terre: case e vite umane si attaccano come un accento di colori sull’orlo di una distesa ininterrotta di verde, terrazzamenti, profili ripidi, quasi verticali. Le tonalità vivaci delle abitazioni compaiono ai margini della massa di erbe cespugli e filari, come aggiunte all’ultimo momento. Solo un attimo oltre, là a destra, comincia il mare.
Corniglia è il borgo più intatto, quello che meglio conserva l’anima originaria. È l’unico privo di accesso diretto al Tirreno, e quello più interno nella serie dei cinque. Anche oggi, Corniglia ha un aspetto poco rifinito. Imboccando appena le diramazioni che portano alle case non è difficile trovare qualche muro scrostato, lavori edilizi incompiuti. Salendo verso l’entroterra, le stradine strette tra le abitazioni sono più ombrose, fresche, e l’atmosfera cambia - ma non in peggio. Anzi: l’aria un po’ trasandata contribuisce al loro fascino. Sul sagrato della chiesa di San Pietro un altro indizio rivela l’anima di Corniglia: subito a fianco della facciata, le due coppie di scuri verdi di una casa d’abitazione si intrecciano con altrettante finestre soltanto dipinte, in vernice bianca. L’arte del trompe-l’oeil in Liguria è pervasiva, e in alcune località diventa stucchevole; qui, invece, un lavoro è stato abbandonato da tempo a metà senza troppi rimpianti, e l’’effetto equilibrato ma grezzo, è suggestivo. Dal sagrato, lo sguardo raggiunge la parte centrale di Corniglia, quella che sovrasta immediatamente il mare, e ancora qualcosa ci ricorda che non siamo in uno di mille altri paesi liguri: i colori delle case, con una tavolozza particolare che esce dalle tonalità familiari del rosso, giallo, rosa spento, bianco per estendersi a più sorprendenti – e lievemente dissonanti – azzurri e arancioni. San Pietro è forse la chiesa più elegante delle Cinque Terre, esemplare dello stile gotico-ligure. La facciata è semplice, le pietre squadrate incorniciano il portale verde; sul retro il gioco dei volumi è movimentato. Pochi metri più in là parte – con lunghe gradinate di terra, erba e grosse pietre – il sentiero che va dritto verso l’alto, alla sella nordovest del Monte Marvede, dove incrocia l’Alta via.
In basso invece, tornando alla stazione con la scala della Lardarina, si raggiunge una delle spiagge accessibili da Corniglia. È quella che più esplicitamente rimarca la distanza ideale – se non geografica – di questo paesino dal mare: per arrivarci si percorre un tunnel ferroviario in disuso. È la spiaggia di Guvano, bella e sempre esposta al sole: un tempo feudo battente bandiera nudista, ora frequentata da un pubblico molto misto di naturisti, fricchettoni, e famiglie, in convivenza serena. La galleria risale al tempo in cui il binario era unico. Nel percorrere questo stretto residuo di un secolo ormai distante fa un certo effetto sentire il rumore dei treni del nostro tempo, forte e vicino perché la linea ferroviaria attuale corre in parallelo., pochissimi metri più in alto.
A detta di molti conoscitori delle Cinque Terre, Vernazza è la più bella. Arrivandoci col treno, colpisce già la sua stazione: per metà sotterranea. Un viale largo scende verso il mare, alla piazzetta un po’ portofinizzata dai tavoli dei ristoranti. Ma perfino qui i muri delle case, con qualche scrostatura, scongiurano l’effetto-patinato. All’ora dell’aperitivo si affacciano dalle finestre illuminate i residenti, a godersi lo spettacolo delle chiacchiere là in basso. A Vernazza c’è un porticciolo, l’unico delle Cinque Terre. C’è un ampio spazio lastricato dove stare a guardare le onde da vicino, proprio a livello del mare: quando questo è troppo forte viene alzato il pennone rosso di pericolo, come sulle grandi spiagge, perché i flutti possono arrivare molto forti fino ai margini dell’abitato. Seduti qui, o lungo il molo, dando quasi le spalle al mare, si gode della vista più bella di Vernazza, con le sue torri e fortificazioni. A sporgersi sul mare c’è un terrazzino con qualche tovaglia arancione dai lembi sventolanti: i pochi tavoli – una decina di coperti soltanto – di un ristorante che occupa il bastione quadrangolare del Belforte.
A Monterosso, evitando le zone più afflitte dallo sviluppo edilizio, il borgo antico è relativamente intatto. Ma Monterosso è anche un’ottima occasione gastronomica. Le acciughe locali sono considerate le migliori (anche se è attribuita a Vernazza l’origine del tian, il tegame al forno che le unisce ai pomodori, erbe e olio con risultati eccellenti). Nelle enoteche di Monterosso si possono provare il Cinque Terre, un bianco secco, e lo splendido Sciacchetrà, passito di 17 gradi, ricavato dagli stessi vitigni (Bosco, Albarola e fermentino i tre principali). Portovenere non è distante dalle Cinque Terre: la si raggiunge anche a piedi, salendo da Riomaggiore al Colle del Telegrafo, tra arbusti e castagni, e da lì giù attraverso una radura e spazi di vegetazione più folta, in una delle escursioni più piacevoli e meno scontate della zona. Il molo di Portovenere è allegro, tra le panchine giocano gli adolescenti locali. Poco più in là partono i traghetti che fanno il giro panoramico delle tre isole. Palmaria è la più vicina: solo un braccio di mare stretto la separa dalla terraferma.
Quello che si vede è il lato più abitato, ma non è che una manciata di case. Poi un oceano di verde sopra alle linee corrugate della falesia, e le tegole di una casetta solitaria verso la cima. Solo lo scheletro di un albergo, iniziato e mai portato a termine, rovina la visuale e aspetta di essere smantellato. L’isola è la pace assoluta, con una natura primitiva e sentieri poco trafficati. Ma vale la pena di visitare la Fortezza del Mare, edificio concepito senza fronzoli architettonici dalla Regia Marina, con funzione di batteria anti-nave, oggi ricco di suggestioni proprio per la semplicità delle sue linee, e per la lieve sensazione di incongruità: gli antiquati sistemi di artiglieria rimandano a una storia militare lontana, in una zona che però è ancora sottoposta alla Marina. Le due isole più piccole, Tino e Tinetto, sono presidio militare. Chi prova ad avvicinarsi, anche solo con una barca a remi, viene scacciato dal guardiano. È in realtà una fortuna: nelle due isole, dove non c’è attività agricola da 150 anni, la natura è lasciata a sé stessa, e su Tino (Tinetto, poco più che un roccione, è molto più spoglia) cresce una boscaglia fitta, con lecci, pini d’Aleppo, euforbia, e vive indisturbato il tarantolino, un piccolo geco europeo ormai raro. La visita a Tino è permessa un solo giorno all’anno: il 13 settembre, giorno di San Venerio, che qui visse eremita.
Le Cinque Terre, e Portovenere con le sue isole, sono tutelate dall’Unesco come parte del patrimonio paesaggistico e culturale dell’umanità. Le proteggono oggi anche due Parchi naturali, con buoni risultati. Tra questi, il mare pulitissimo.
Giuliano Tedesco