Fiat 500X, l'Italia che fa bene

Fiat 500X 580

Non è facile che una nuova automobile tolga i veli provocando un applauso spontaneo. Specie se si è a Parigi, e soprattutto se l'auto non è francese. Invece è successo, per di più con un'auto di casa nostra, con nuove derive americane, ma costruita a Melfi, profondo Sud. 

E allora, diciamolo, per una volta, si può essere orgogliosi di essere italiani. Ma il consenso unanime che la nuova Fiat 500X ha sollevato al Salone di Parigi rubando la scena ad altri attesi debutti, va oltre la soddisfazione per un modello che pare ben riuscito e che attende ora il giudizio del mercato. 

Perché, sia chiaro, non è un assoluto capolavoro né di originalità né di contenuti l'ultima nata della famiglia 500, la prima crossover in un segmento dal quale Fiat mancava del tutto, la prima anche con trazione integrale, la prima vera auto globale del Lingotto (per il progetto congiunto con Jeep) e che sarà venduta in oltre 100 Paesi, inclusi gli Stati Uniti. 

Sembra invece "solo" una vettura ben riuscita, adulta, moderna, ricca di personalità, semplice e funzionale. Che conferma che le cose l'Italia che lavora e produce sa ancora farle bene. Specie se si concentra su ciò che da sempre l'ha fatta eccellere, senza sconfinare, senza esagerare. 

In ritardo rispetto alla concorrenza magari – e Fiat in questo è maestra – ma in tempo per recuperare il tempo perduto con un prodotto maturo, interessante, trasversale.

Quello insomma che si chiede oggi a un'automobile, in assoluto e soprattutto in Italia, palcoscenico surreale dove il mercato è tornato indietro di 35 anni, con un calo delle immatricolazioni del 47,7% rispetto ai livelli ante crisi. Solo noi o quasi, però. 

Perché in tutto il resto del mondo invece, il mercato automobilistico continua a crescere, e nel 2014 le vendite mondiali supereranno quelle del 2013. 

Di contro, alla soddisfazione fuori luogo degli ambientalisti più integrali che ritengono un grande traguardo di civiltà la diminuzione delle vendite delle quattro ruote, l'82,7% degli italiani l'anno scorso ha scelto l'auto privata come primo mezzo di mobilità (era meno, l'81,4% nel 2008). 

Quindi, in soldoni, i dati indicano che la crisi non ha fatto diminuire l'uso delle auto, ma ha solo portato ad un aumento dell'età media delle vetture circolanti, cresciuta del 30% dal 2007 al 2013 (ora è di 9 anni e 9 mesi), e quindi della loro pericolosità e del loro potenziale grado di inquinamento. 

Non è a Parigi dunque – dove fino al 19 ottobre scorso è andato in scena un Salone finalmente tornato ai fasti passati e dove si è respirata un'aria se non di ottimismo, almeno di rinnovata fiducia – che la nostra automobile deve cercare le risposte a certe contraddizioni. 

Quelle dovrebbero fornirle le istituzioni, magari riflettendo che, anche senza eccedere nel nazionalismo di un entusiasta presidente Francois Hollande che si aggirava tra gli stand dei marchi francesi promettendo appoggi a pioggia all'industria di casa sua, un po' di attenzione finalmente non guasterebbe. 

C'è l'Italia che lavora e che produce da difendere, l'Italia che fa e che stavolta fa anche bene. Tra gli applausi di chi, purtroppo solo a Parigi, l'ha capito.

Alberto Caprotti

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