INTERVISTA A GIAMPIETRO COMOLLI, PANTELLERIA DOC PATRIA ORIGINARIA DELLO ZIBIBBO
di Camillo Pisano
Giampietro Comolli, dal 1986 direttore e da allora esperto di consorzi di tutela, curatore e scrittore di tanti e noti disciplinari DO-IT e creatore di distretti produttivi turistici come Terre del Gavi o Altamarca o Costa Etrusca, presidente dell’osservatorio Economico vini fondato nel 1991, è stato coinvolto dalla amministrazione comunale per consigliare produttori e amministratori su alcune scelte strategiche irrinunciabili e improcrastinabili.
Dottor Comolli si è scritto e parlato molto di questo convegno tenutosi a Pantelleria, ci fa capire meglio quali sono in realtà le problematiche dello Zibibbo.
Pantelleria Doc è la patria originaria antica dello Zibibbo, molto simile al Prosecco per Valdobbiadene o il Brunello per Montalcino o il Cortese per Gavi o l’Aceto Balsamico tradizionale di Modena. Pantelleria & Zibibbo è l’assioma o il mix dei vini-distretti citati, in più ha un legame stretto terra-vitigno-alberello-metodo-vino sancito da Unesco… quindi Pantelleria è anche molto simile alla storia del Soave Classico, del Gutturnio Classico. Purtroppo negli ultimi 7-8 anni Zibibbo è stato usato e inserito anche nel disciplinare Doc Sicilia e Igt Terre Siciliane, inoltre il vitigno aromatico può, senza vincoli, “insaporire e nobilitare” altri vini siciliani. Questo allarma gli ultimi 350 viticoltori rimasti sull’isola di Pantelleria.
Poca uva prodotta, mentre in Sicilia si sono già impiantati 3000 ettari, monopolio di una azienda siciliana sul prezzo e acquisto uva, esclusione dei viticoltori dalle decisioni di tutela del Consorzio, uso della storia di Pantelleria in etichette non pantesche, caos verso il consumatore che sul mercato, con la stessa Doc e designazione, si trova bottiglie da 5euro, molto commerciali e industriali, e bottiglie da 40 euro, di piccoli vitivinicoltori, spesso indipendenti, con una difficilissima conoscenze delle differenze fra Pantelleria Doc Passito Dolce e Pantelleria Doc Liquoroso o Passito Liquoroso. Il problema centrale è: la viticoltura riconosciuta Unesco per lo ZibibboPantesco ha un futuro e i giovani viticoltori possono restare a vivere sull’isola con un reddito e un brand degno della sua storia?
In merito al tema della tutela dei territori vitati e delle varietà di viti da piantare oggi anche in sintonia con cambi climatici e cura dell’ambiente coltivato, su come valorizzare la denominazione e il modello vincente di un vino Doc italiano, è molto chiaro: “Lo Zibibbo è noto da anni come vino dolce passito naturale ottenuto dal vitigno omonimo a Pantelleria, come è stato l’antico Valdobbiadene Prosecco oggi diventato Prosecco Doc. Non solo in Italia, esiste oggi un “futuro della vitivinicoltura” alla luce di diversi cambiamenti. Forse il trinomio vitigno-metodo-terra a Pantelleria è anche più forte che a Valdobbiadene. Purtroppo si parla di 100.000 bottiglie di Passito Zibibbo Pantelleria e non di 700.000.000 di bottiglie di Prosecco Doc Spumante. Le Doc cappello hanno fatto bene alla qualità del vino italiano, ma ora è vincente la DO (o IGT) monotipologica e montoterritoriale al centro di un distretto multilaterale e polifunzionale ( produttivo e turistico).
Quindi anche i Consorzi di tutela devono cambiare dopo 20 anni di staticità con il cambio climatico, crisi economiche, barriere monetarie e fra paesi, inflazione e costi materie alle stelle. Le piccole imprese vitivinicole devono avere meno balzelli possibili, semplificazione, aiuti nella esportazione, valorizzazione delle nicchie. Un consorzi di tutela con 9 o 15 tipologie della stessa Doc non riesce a fare né tutela né valorizzazione della Doc (non deve fare promozione per 3 etichette e basta): è un costo e basta. la identità e il valore oggi sostituiscono prezzo e qualità nella testa del consumatore maturo: il vino passito è un vino per esperto, per appassionato, per cultore. I grandi numeri di bottiglie non servono ad un territorio di pregio: fanno business solo per grandi imprese. la grande impresa deve ritornare un certo reddito al territorio di origine. Questa è vera resilienza, sostenibilità, socialità consortile…tutto il resto sono parole.
Al comune di Pantelleria sta molto a cuore sia la vitalità delle imprese che dei Panteschi. Cosa fare?
Lo Zibibbo necessita di una patria unica blindata in base a tipologia e accettazione riconoscimento del consumatore. L’offerta deve adeguarsi: accontentare tutti i consumatori con etichette diverse e stessa origine non paga.
Com'è la situazione dei produttori di vino Zibibbo a Pantelleria, come vivono questa realtà?
Il vino a Pantelleria, oggi, conta su 357 viticoltori che coltivano 400 ettari per 18.000 quintali di uva di vendemmia, media di 45 q/ha (fra 20 e 60 a seconda delle zone), poco più di 1 milione di bottiglie, di cui il 90% (7000-7100 hl) per 2 sole etichette sulle 9 previste dal disciplinare Doc: Passito di Pantelleria (1600 hl) e Passito Liquoroso (5300 hl). Limitatissima oggi la produzione di Zibibbo Doc Pantelleria dolce passito. Solo 3 grandi cantine su 22 aziende, imbottigliano 7300 ettolitri su 8400. (dati Consorzio di Tutela). Occorre che il valore aggiunto della identità territoriale e tipologica (oltre la qualità del vino) sia appannaggio dei viticoltori e vitivinicoltori panteschi: cioè la redditività deve crescere e può crescere solo in una ottica di esclusività, eccellenza, nicchia….dimostrata da fatti e non da parole e articoli di giornali più o meno guidati.
Pantelleria deve fare un salto di mentalità e di autonomia e di certezza di riuscire. Occorrono strumenti e fondi di valorizzazione, norme restrittive di produzione, di imbottigliamento, di etichetta e certificate e controllate realmente e non solo sulla carta (da qui la Docg), riduzione delle tipologie Doc con qualche aggiornamento, separazione dell’obbiettivo commerciale e promo-commerciale da quello di tutela e di denominazione. La stessa etichetta non può essere venduta a 5 euro nella grande distribuzione e a 30 euro in enoteca. Il consumatore è disorientato. Il consumatore winelovers cambia etichetta. Occorre una campagna mirata e diretta, dalla Docg (classico) alla Rotta dello Zibibbo Pantesco, dalla condivisione del progetto fra più istituzioni alla responsabilità diretta e di faccia dei panteschi, dall’aiuto dei non panteschi al recupero di vigne abbandonate grazie anche ad investitori esterni ma lungimiranti e in linea con i viticoltori locali.
Quale è il vero Zibibbo oggi?
Lo Zibibbo classico” quel territorio antico unico autentico, che è riferito all’isola di Pantelleria … e basta! E tale deve rimanere senza artifici, interventi industriali, aggiunte di alcol e zucchero, senza forzature in serre ventilate”. Le problematiche del vino a Pantelleria “doc” sono diverse, articolate. Inoltre oggi, se non cambiano le leggi, lo Zibibbo si può ottenere in Calabria come in Sicilia. Una volta era un “sinonimo” esclusivo di Pantelleria al posto di usare il termine Moscato di Alessandria.
Uno dei 200 “moscato2 coltivati nel mondo, diverso da tutti gli altri per la sua peculiarità ad appassire senza marcire, alto titolo naturale, aromaticità intensa e unica. Per questo mi è venuta l’idea di utilizzare la norma del “classico”, per dare una patente e una identità certa a “quello” Zibibbo originario, del territorio più antico, una area più piccola all’interno della più grande Doc Sicilia e Terre Siciliane. Una forma di legge, logica, che nessuno può mettere in discussione. Ovviamente se poi si passa dalla Doc alla Docg, meglio ancora. Da qui il Pantelleria Classico Docg Zibibbo esclusivamente per la versione Passito Naturale Dolce.
Quali sono i veri obbiettivi dei produttori?
I produttori di vino a Pantelleria sono allarmati, delusi, impauriti, succubi. Una situazione a 360 gradi che necessita immediatamente di una presa d’atto e una scelta. ovvio che Consorzio Pantelleria, Parco Nazionale, Associazione Viticoltori, Comune, Pantelleria Enoica, Regione, Ministero devono sedersi attorno a un tavolo pubblico, aperto a tutti, da svolgersi in sala consiglio comunale con la discussione dei 3-4 punti che verranno messi all’ordine del giorno e che sono scaturiti oramai da 4-5 anni di indagini, valutazioni, obiettivi. E’ l’unico modo per dare garanzie di una continuità viticola, una presenza vinicola diretta sull’isola soprattutto di nuove generazioni, il mantenimento e l’aumento delle superfici vitate, la introduzione di 1 Docg e di un disciplinare Doc semplificato, una remunerazione dell’uva fresca e uva passita giusta. Questo è quello che chiedono 20 piccole cantine pantesche e decine e decine di viticoltori di uva
Pantelleria non è solo Zibibbo, visto il suo sapere ci può raccontare di altri prodotti? Quindi mi parli di altro vino, di Olio, dì capperi, birra etc. . . Lo Zibibbo era e deve tonare ad essere “icona” di Pantelleria, ma tutto il vino pantesco deve prendere una nuova strada, non individuale, ma territoriale e distrettuale. Ecco “ il distretto pantesco” si compone di diverse produzioni territoriali che hanno un DNA diverso dagli stessi prodotti anche siciliani (indipendentemente se Docg, Doc, Igp, De.co. ..) perché il suolo lavico da milioni di anni, la particolare produzione della pietra dura dell’ossidiana, la selce-pomice lavica che varia dal colore verde al marrone, la friabilità del substrato agrario molto fertile – oltre al vento mediterraneo, al sole e alla umidità naturale salmastra iodica notturna – fanno la differenza senza bisogno di nessuna alchimia o intervento dell’uomo. Per questo il riconoscimento Unesco.
Iniziamo dagli agrumi cresciuti dentro il “bunker” del giardino pantesco una costruzione umana a difesa del vento di qualche migliaio d’anni, le piante di ulivo di una varietà unica e resistente a ridosso di dammusi e di muri terrazzati per non essere piegati, gli stessi capperi spontanei in mezzo a rocce e muretti a secco, il miele dai sapori erbacei e marini, la novità di una birra naturale ottenuta dalla fermentazione degli acini e semi di Zibibbo, l’origano mentolato diverso dal sativo normale, i cucunci oltre ai capperi, i patè e le confetture di prodotti dell’orto, le patate che crescono nella pomice lavica, peperoni e pomodori grandi…. Tutti prodotti che entrano nelle ricette e piatti tipici panteschi che risentono più dell’influenza araba cartaginese fenicia che non greca latina come succede in Sicilia
Cosa ci può raccontare del livello della ristorazione e dell’ospitalità dell’isola?
Ogni volta che vado sull’isola pantesca, non ho mai una delusione a tavola. Certo che trasporti, materie prime, attrezzature, servizi sono più cari che sulla terra ferma: un minimo di analisi è necessaria per non gravare troppo su ogni piatto. Il pesce fa da padrone secondo le cadenze stagionali e possibilità di pesca. La migliore ristorazione punta su pesci particolari. La insalata pantesca, il pesto (ammogghio) pantesco, il cous cous (pesce pescato piccolo e verdure fritte) pantesco, il raviolo con il pomodoro (ripieno di tumma il formaggio-ricotta dell’isola con menta) il brik (piadina dalla pasta segreta di matrice tunisina) pantesco e per finire i mustaccioli (biscotto dolce nella versione pantesca chiara) e il bacio dolce pantesco (doppia pastella fritta con ricotta). Un menù costruito dalla natura di terra e di mare senza nessun artificio e prodotto foresto.
Per variabilità di menù, ma anche rispetto delle ricette di tradizione, una buona presenza di vini Doc Pantelleria, per un uso prioritario di prodotto dell’isola e per un corretto rapporto servizio, presentazione piatti, disponibilità, costo ecco la mia classifica: Giardini dei Rodo alla Serraglia, Le Cale verso l’Arco dell’Elefante, Il Principe e il Pirata a Gadir, il Dammuso in centro Pantelleria e poi fra le cucine delle contrade La Conchiglia a Khanna, Sesiventi nel parco dei Sesi e la Favarotta; fra gli agriturismo lo Zinedi . Per quanto riguarda l’ospitalità un dato emblematico: 8000 abitanti residenti fissi e 5000 dammusi ristrutturati e diventati case per tanti “amici” di Pantelleria che passano molto tempo (alcuni mesi) sull’isola oltre a diverse strutture alberghiere, B&B in altri dammusi ( con molte piscine) , case vacanze con punte di 30/35.000 turisti diversi ogni settimana nei due mesi estivi.
Una accoglienza per tutti i gusti e per quasi tutte le tasche. Un turismo che si può incrementare nelle mezze stagioni con pochissimo sforzo: più attenzione, cura, gestione dei trasporti aerei oltre a quelli marittimi suscettibili dell’andamento climatico, più servizi alla persona e possibilità di poter usufruire più noleggi di veicoli a prezzi contenuti. Ma l’alternativa è quello di un turismo molto riservato, misurato e di alto profilo che però comporta una visione diversa di approccio e di valore.