I clandestini italiani
Alcune righe dal libro del corrispondente dagli Stati Uniti de La Stampa.
"Li chiamano «Off the Boat», fuoribordo. Sono i clandestini italiani. A New York sono centinaia, forse migliaia. Sbarcano negli aeroporti John F. Kennedy e Newark con la stessa determinazione a rimanere che avevano gli immigrati che a inizio Novecento attraversavano l'Atlantico sulle navi a vapore e facevano tappa a Ellis Island. La differenza sta nel fatto che nell'America del post-11 settembre le norme anti-clandestini sono le più dure mai promulgate. E così c'è chi vive senza documenti da tre, cinque, dieci, perfino quindici anni. Senza poter tornare a casa, dovendo vivere protetto da bugie, temendo lo sguardo degli agenti, cercando in continuazione un espediente per risolvere problemi imprevisti, come una malattia improvvisa o il bisogno di guidare un'auto.
Francesca è una di loro. È nata a Latina nel 1977. Dalla mamma toscana ha tratto il sarcasmo, dal papà siciliano gli occhi chiari ma l'accento è romano. Ci vediamo in una pizzeria nell'Upper East Side, il quartiere che somma la più alta percentuale di milionari del Pianeta, dove lavora sin da quando sbarca nel febbraio 2001. «A Latina avevamo una pizzeria ma gli affariandavano male, mio fratello aveva già scelto di venire a New York e decisi di seguirlo». L'arrivo è «da sogno». Fa la «busgirl», che nel gergo dei ristoranti significa fare accomodare ai tavoli i clienti prima dell'arrivo del cameriere, oppure la guardarobiera. «Ogni serata guadagnavo 100 dollari, allora c'era ancora la lira… erano quasi 200 mila lire a notte… mi sentivo ricca, quando lo dicevo ai miei coetanei non mi credevano ». La felicità è tale che ai documenti non ci pensa. Passano i canonici tre mesi e neanche si accorge di essere diventata illegale.
Poi arriva l'estate, con il relativo aumento del lavoro, e quindi l'11 settembre. «Quella mattina tutti venivano su da Downtown camminando a piedi, si sedevano al ristorante, mangiavano per riposarsi o distrarsi, non funzionavano né le carte di credito né i computer, piangevamo tutti, pensavamo che i morti fossero 20 mila. Ancora oggi piango se penso a quei momenti». Lo shock è tale che d'istinto decide di tornare in Italia. Stacca dal passaporto il tagliando verde oramai scaduto, va all'aeroporto Kennedy «con il fiato in gola» e quando al check-in le chiedono dove lo ha messo, fa la vaga: «Boh… lo avrò perso, e che ne so?». Le va bene, passa la dogana, torna a Latina, rifà il passaporto e torna a New York con documenti nuovi di zecca. Adesso la scelta di diventare illegale è consapevole".
Maurizio Molinari, Gli italiani di New York, Laterza, pp. 288, € 16,00.